L’Opinione
di
Michele Rallo
GLI STATI NON POSSONO CREARE MONETA.
LE BANCHE, SI
Strana società, quella
dei nostri giorni. E per “società” intendo quel complesso di regole che
scandisce la vita dei popoli e delle nazioni. Strana società – dicevo – è la
nostra, che vede gli Stati, ricchi e poveri, incapaci di provvedere con mezzi
propri anche alle più elementari esigenze dei propri cittadini. Ogni cosa
(dall’alimentazione alla sicurezza, dalla sanità all’edilizia pubblica, dai
trasporti all’istruzione, dalla tutela ambientale alla difesa militare) ha i
relativi costi; e questi costi possono essere affrontati, oltre che con l’imposizione
fiscale, solamente con denaro che gli
Stati non possono creare, ma che devono necessariamente farsi prestare dalle
banche private. Tutti gli Stati, sostanzialmente, anche quelli che hanno
l’illusione di avere ancora una propria “sovranità monetaria”. Prendete gli
Stati Uniti d’America – per esempio – il cui governo ha, proprio in queste
settimane, immesso sul mercato interno una gran quantità di danaro “fresco”.
Ebbene, quel denaro non lo ha stampato il governo degli Stati Uniti, ma la FED, la Federal Reserve, cioè la banca “centrale” che lo ha poi prestato al
governo. Malgrado la ambigua denominazione di “centrale”, infatti, la Federal
Reserve è una banca privata, posseduta da un azionariato composto da banche
private americane e straniere. Per l’esattezza (dati del 1992): le americane Goldman Sachs, Kuhln Loeb, Lehman Broters,
Chase Manhattam, l’inglese Rotschild, la tedesca Warburg, la francese Lazard, ed una misteriosa – per me –
Banca Israel Moses Seif con sede a
Roma.(1)
Certo, i popoli europei
avvertono in modo particolare il problema, perché hanno perduto la sovranità politica
(non soltanto la monetaria) a beneficio di una struttura sovranazionale quale è
l’Unione Europea. Ma gli altri popoli del mondo non stanno messi molto meglio,
perché tutti o quasi hanno rinunziato al diritto-dovere di creare il proprio
denaro, delegandolo a banche private, pudicamente indicate come “centrali”.
Così facendo, gli Stati non hanno solamente regalato a pochissimi soggetti
privati la possibilità di arricchirsi a dismisura sulla pelle dei popoli, ma –
cosa forse più grave – si sono consegnati anima e corpo alla finanza internazionale,
accettando di farsi dettare da questa le regole della vita sociale interna, oltre
che le linee della propria politica estera. Pena, la destabilizzazione delle
proprie economie nazionali. Se oggi la Russia di Putin – per esempio – disobbedisce
ai voleri dei poteri forti, i “mercati” decretano la perdita di valore del
rublo, con ciò provocando anche una crisi economico-sociale interna al paese.
Se, a suo tempo, l’Italia di Berlusconi – per fare un altro esempio – comprava
petrolio dalla Russia e dalla Libia, ecco che i “mercati” – sempre loro –
determinavano una crescita anomala del famigerato spread, con ciò incidendo
pesantemente sui nostri equilibri sociali.
Ma – mi si obietterà –
non è stato sempre così? Nossignore, non sempre e, comunque, non in maniera
così totale e asfissiante. La guerra delle banche (e mi riferisco ovviamente
alle grandi banche “d’affari”, non alle normali banche commerciali) per
impossessarsi del potere politico dura da secoli, con vicende alterne. Si pensi
che la capostipite di tutte le banche “centrali”, la Banca d’Inghilterra, è in
attività sin dal 1694: da sempre in mani private, nel 1946 venne stranamente nazionalizzata,
per essere poi ri-privatizzata nel 1997, a sèguito di una riforma invocata a
gran voce dal mondo della finanza. Lo stesso tipo di riforma che nel 1993 fu
attuata in Italia, privatizzando la Banca d’Italia che il regime fascista aveva
nazionalizzato nel 1936.
Eppure, stranamente,
nessuno sembra scandalizzarsi per l’enormità di questa aberrazione. Pensate: gli
Stati rinunziano al potere di creare denaro, e tale potere attribuiscono a dei
soggetti privati. E non solo. Ma – cosa ancora più grave – lasciano decidere a
quei privati quali debbano essere le direttrici della politica economica e
sociale: se si debba assumere o licenziare, aumentare o diminuire la pressione
fiscale, se incentivare la spesa pubblica o gli investimenti, se fare o non
fare questa o quell’altra riforma. E ancòra, sommando obbrobrio ad obbrobrio,
per finanziare le proprie spese istituzionali gli Stati si fanno sovente prestare
il denaro occorrente dal sistema bancario privato (banche centrali o banche
d’affari, non fa molta differenza), ed a quel sistema finanziario pagano
cospicui interessi, sottraendo tali somme alle necessità del governo. Dopo di
che, naturalmente, gli Stati diventano ostaggio del “debito pubblico” contratto
con la finanza speculativa. Non solo l’Italia, naturalmente. Se il nostro
debito pubblico è pari a circa il 120% del PIL, quello della media europea è
più o meno dell’85%, quello degli Stati Uniti del 105%, quello del Giappone
addirittura del 210%.
E siamo soltanto
all’inizio di questa serie di paradossi. Perché il sistema finanziario dal
quale gli Stati attingono il denaro in prestito è drogato – se così posso dire
– dalla presenza di una grande quantità di titoli derivati, cioè –
sostanzialmente – di denaro virtuale, che non esiste: carta straccia creata dal
nulla, senza che il sistema finanziario detenga un controvalore reale. Una
volta, gli Stati potevano stampare moneta solamente in quantità corrispondente
(o comunque proporzionale) alla riserva aurea posseduta. Poi, alla fine della
seconda guerra mondiale, venne creato un sistema economico globale che si
basava sul primato del dollaro (unica valuta ammessa per il commercio delle
materie prime) e sulla sua convertibilità in oro. Poi, infine, nel 1971 gli USA
decretarono (e gli Stati vassalli disciplinatamente accettarono) la fine della
convertibilità delle altra valute in dollari e della convertibilità del dollaro
in oro. Allora, quando le folli spese militari avevano assottigliato la riserva
aurea di Fort Knox, gli Stati Uniti pensavano bene di far pagare al mondo
intero i loro guai economici, e quindi abolivano, insieme al sistema dei cambi
fissi, anche l’ancoraggio delle monete a quella misura di ricchezza reale che è
l’oro. Da quel momento, teoricamente, ognuno poteva stampare moneta a volontà,
sol che riuscisse a mantenere un rapporto accettabile nella “fluttuazione dei
cambi”.
Chiedo scusa per questa
lunga digressione, necessaria tuttavia per comprendere che – dal 1971 in poi –
per “fabbricare” denaro non è più necessario detenere un corrispettivo reale,
cioè una riserva di oro o di altri metalli preziosi. E, tuttavia, gli Stati non
hanno mai abusato oltre una certa misura della possibilità di creare moneta,
preoccupati di non alterare gli equilibri della fluttuazione.
Non così la finanza
speculativa, che – soprattutto dall’inizio degli anni ’90 – ha cominciato a
battere, di fatto, una propria moneta: non una moneta convenzionale,
naturalmente, ma quella che gli esperti chiamano “finanza derivata” e che si
sostanzia nella emissione di titoli privi di reale consistenza.
Che cosa è un “titolo
derivato”? È una banconota virtuale emessa da un soggetto finanziario privato
ed il cui valore non è garantito da alcun bene reale, ma “derivato” dal valore
di mercato di uno strumento finanziario “sottostante” (azioni, obbligazioni,
eccetera), o anche – cito da Wikipedia – «basato
sulle più diverse variabili, perfino sulla quantità di neve caduta in una
determinata zona».(2) Si tratta – in ultima analisi – di
scommesse di vario genere, che un soggetto privato trasforma in “titoli”,
immessi sul mercato e commerciati come se fossero emessi a fronte di una ricchezza
reale, tangibile.
Ma l’aspetto più grave
è la quantità di questo “denaro virtuale” gettato sul mercato. Nel 2010, a
fronte di un PIL mondiale annuo di circa 70.000 miliardi di dollari – apprendo
sempre da Wikipedia – il volume della finanza derivata era di 670.000 miliardi
di dollari.(3) La qualcosa significa – mi permetto di chiosare – che
il denaro virtuale in giro per il mondo è dieci volte il denaro vero che
costituisce il prodotto interno lordo generato in un anno dall’economia reale dell’intero
globo terrestre.
E in Italia – per
banalizzare – non possiamo creare il denaro necessario a pagare le pensioni (e
dobbiamo farcelo prestare), mentre ad un pugno di affaristi internazionali
viene consentito di creare denaro virtuale per scommettere sulle nevicate del
Massachusetts.
Siamo alla follìa. O,
forse, non è follìa, ma il frutto di un lucido disegno per distruggere le
nazioni e per sottrarre ai popoli le loro ricchezze reali. A proposito di
ricchezze reali: l’Italia possiede la terza riserva aurea mondiale, dopo quelle
degli Stati Uniti e della Germania. Volete scommettere che, quanto prima, ci
chiederanno di dare quell’oro a garanzia del nostro “debito pubblico”?
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(2)
http://it.wikipedia.org/wiki/Strumento_derivato
(3) http://it.wikipedia.org/wiki/Strumento_derivato
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