giovedì 26 giugno 2014

"Apriamo un canale di dialogo"...



La vicenda che vado a toccare non è questione semplice, come mai lo sono quelle lontane che con la distanza a volte acquistano verità incerte o comunque mai divulgate completamente ai più.

La distanza in questione è quella che ci separa dall'India, enorme per chilometri e per cultura e nello stesso tempo oggi breve come 30 miglia; infatti, secondo la difesa dei sottufficiali Salvatore Girone e Massimiliano La Torre il noto caso, conosciuto come “dei Marò”, sarebbe avvenuto in acque internazionali proprio a quella distanza dalla costa indiana.   
    
Troppe volte in questi lunghi 27 mesi (mentre i 2 soldati sono in stato di reclusione a Delhi) si sono sentiti discorsi sull'identità degli uomini colpiti : pirati o pescatori; sulle dinamiche specifiche riguardo un ALT non rispettato o sulla presenza a bordo di armi o meno nell'imbarcazione degli uomini uccisi.
 
Polemiche a non finire si sono spese sulla natura della loro missione: c'è chi li chiama eroi, chi mercenari, ovvio il motivo visto che non erano li come garanti di pace ma per far da scorta ad una nave mercantile e al suo prezioso carico di petrolio, ma d'altronde la legge n.130 del 2 agosto 2011 fortemente voluta d'allora Ministro della Difesa Ignazio La Russa ne legittima la loro presenza come team armato in difesa agli attacchi di pirateria (logicamente a spese dell'armatore), così: legge ordina-militare esegue!
 
Insomma su questa storia è stato detto di tutto, ma esiste nel cuore degli uomini giusti e razionali una verità più che oggettiva che continua a gridare prima che nelle piazze, nell'animo dell'umile soldato che indossa una divisa cercando di ricoprire al meglio il suo ruolo obbedendo a rischio ogni giorno della propria vita.
 
Questa verità rimanda alla distanza sopra citata, quella che se pur breve non può che essere il dato più oggettivo: l'episodio incriminato è avvenuto in acque internazionali dove vige il diritto dello stato la cui nave batte bandiera, in questo caso italiana, infatti secondo l'UNICLOS (United Nations Convention on thel law of the sea) “In caso di abbordo o di qualunque altro incidente di navigazione nell'alto mare che implichi la responsabilità penale (…) non possono essere intraprese azioni penali o disciplinari contro tali persone, se non da parte delle autorità giurisdizionali (…) dello Stato di bandiera (...)”.
 
Inoltre, considerando che Salvatore e Massimiliano esercitavano funzioni militari in missione all'estero godono, o così dovrebbe essere, dell'immunità funzionale della giurisdizione rispetto agli Stati stranieri, questo secondo una prassi risalente al caso McLeod del 1840 e costantemente riaffermata (tanto che la norma appartiene al diritto internazionale consuetudinario).
 
Ecco la conferma che i 2 soldati non possono essere detenuti o arrestati in India, Paese che, visto episodi di cronaca quotidiana che continuano a riguardarlo, non si sta di certo distinguendo per la propria avanzata civiltà e senso di giustizia.
 
Detto ciò non vi è dubbio che i diritti dei 2 militari continuano ad essere calpestati nella misura in cui la loro permanenza in Stato straniero continua.
 
Se l'India non è sinonimo di civiltà di certo l'Italia non è sinonimo di buona politica, esempio lampante risiede nel nostro Presidente della Repubblica che può stare comodamente seduto alla parata del 2 giugno come se ci avesse lasciato ancora qualcosa di cui andar fieri o, nell'attuale Presidente del Consiglio che non trova altre vie se non quella di aprire dialoghi di comunicazione con tutti e aspettare cortesemente una risposta o un appoggio che ci faccia sembrare più autoritari agli occhi dell'Idia.
 
“Portiamo l'attenzione a livello internazionale” dice Renzi e Federica Mogherini, attuale ministro degli esteri, apre canali di dialogo (ancora!) con, quella che chiama “la nuova collega indiana”, Sushma Swaraj, informandoci che si sono prese l'impegno di risentirsi e vedersi.
 
PERO', EFFICACI I NOSTRI MINISTRI!
 
Se sbaglio vi è stato sicuro, poco centra con i due fucilieri che, trovandosi in un area ad alto rischio, hanno adottato le misure per causa giustificata dell'uso della forza per pirateria e per nave sospetta (art.1135 e 1136 del Codice della Navigazione – L.103/2011 e L.197/2009)
 
C'è da chiedersi se fosse giusto la loro presenza li, e se troppo spesso le missioni non siano degne della divisa e dell'onore di chi la indossa, in questo caso un boccone di certo non va giù: la legge n.130 del 2 agosto 2011 ammette non solo i team militari ma anche i “contractors” ovvero dei privati che fanno da sicurezza nei mercantili, pagati anch'essi dagli
armatori; eppure, questi ultimi vanno in contro a restrizioni oggettive di difetto applicativo della legge sopra citata, perciò non possono ancor oggi essere effettivi, stesso motivo per cui Paolo D'Amico, presidente della Confitarma (associazione degli armatori) più volte ha dovuto richiamare i vari Ministeri sulla questione, come dargli torto visto che lo stesso Decreto di attuazione della legge stessa non è mai stato emanato?!
 
Certo, si fa per parlare ovvio, ma non si può non constatare che in questo modo il Ministero della Difesa abbia il monopolio anche sui team privati... ma lo dico così...giusto per aprire anche noi un canale di dialogo.
 
Fonti: OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE ( progetto di collaborazione tra il Senato Della Repubblica, Camera dei Deputati e Ministro degli Affari Esteri con autorevoli firme) www.parlamento.it In particolare il rapporto chiamato: "La pirateria: che fare per sconfiggerla?" Di Fabio Caffio, ufficiale della Marina Militare ed esperto di diritto marittimo, e di Natalino Ronzitti, professore di diritto internazionale presso l'Università Luiss-Guido Carli di Roma e consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (Iai)
 
JESSICA PILLONI

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